[Recensione] Root + La Compagnia del Fiume

scritto da White Winston (Andrea P.)

A distanza di circa 1 anno, torno nuovamente a parlare di un “Goblin Magnifico” (vedi Cry Havoc). Questa volta però è il turno di Root, vincitore alla scorsa Play del “Goblin Magnifico 2019” e, al momento, unico detentore del primato di aver messo d’accordo pubblico e critica, grazie alla vittoria anche del premio “Scelto dai Goblin 2019” (votato dagli utenti de La Tana dei Goblin). Considerato il fatto che Root è nato grazie a una campagna Kickstarter di grande successo, dove ha raccolto circa 630.000 $, che è il secondo gioco di rilievo della Leder Games, dopo Vast: le Caverne di Cristallo, e che la sua prima tiratura italiana è fumata in neanche 2 mesi… be’…  direi che le premesse portano tutte in un’unica direzione! Vediamo quindi di approfondire meglio il gioco, per capire se tutto questo successo è stato pienamente meritato oppure no.

ROOT

È un gioco di Cole Wehrle, edito da Leder Games nel 2018 e localizzato da MS Edizioni nel 2019, per 2-4 giocatori (1-6 con l’espansione La Compagnia del Fiume), durata media 60-90 minuti (al netto di una lunga spiegazione iniziale!), che vi metterà nei panni di una delle sue “pucciosissime” fazioni, in lotta per il controllo del bosco e delle sue radure. Non importa che siate gatti, uccelli, topi, procioni, lucertole o lontre, il vostro unico scopo all’alba di ogni giorno sarà quello di fondare le vostre basi, creare oggetti e guerreggiare per prevalere sugli altri. Ispirato (dice) ai wargame della serie COIN, asimmetrico a tal punto da poter considerare ogni fazione una meccanica di gioco a sé, fondato prevalentemente su meccaniche di gestione mano e maggioranze e cattivo e spietato come pochi altri giochi del genere: “Io sono (G)Root!!!”.

GRAFICA E MATERIALI

Come ogni Kickstarter che si rispetti, anche Root può vantare un comparto di grafica e materiali di alto livello. A differenza dei suoi colleghi, però, Root annovera un pregio che non tutti posseggono: il buongusto. Le illustrazioni di Kyle Ferrin infatti, completamente controcorrente rispetto al tema guerresco del gioco, propongono un universo fatto di piccoli animaletti, teneri quanto letali, simpatici quanto spietati, dalla grafica che sembra uscita da un libro per bambini, di quelli un po’ chic con copertine cartonate. Una scelta azzardata, che ha sicuramente ripagato, in quanto il risultato finale è davvero stupefacente, oltre che molto convincente. Sembra strano, ma, in termini di credibilità dell’ambientazione, nonostante la poca vicinanza a primo impatto al tema della “guerra”, mi sono sentito più a mio agio con questa che non con quella di Lords of Hellas (tanto per citare il cugino tamarro di un genere affine) e sicuramente in larga parte lo si deve al lavoro di Ferrin. Quindi, dicevamo, scelte cromatiche ottime, illustrazioni “simpatiche-ma-non-troppo” (che altrimenti poi si sfocia nel demenziale) e… una secchiata di meeple in legno decorato! Questi ultimi, devo dire, in piena controtendenza rispetto al mercato miniaturistico che ormai imperversa (mi viene in mente Way of the Panda della CMON come esempio contraltare con ambientazione “simile” e spreco abbondante di miniature). Scelta comunque pienamente azzeccata, perché, oltre a caratterizzare moltissimo il titolo, aiutano nella lettura del tabellone. Insomma Root, dal punto di vista di grafica e materiali, pur senza troppi fronzoli e orpelli e puntando su una dotazione più classica che contemporanea, può dirsi un vero gioiellino.

REGOLAMENTO

E qui viene il difficile. Perché, come dicevo sopra, Root fonda il suo gameplay su un pool ristretto di meccaniche comuni e un set ben più ampio di meccaniche e stili di gioco altamente personalizzati per ogni fazione. Partiamo dalla mappa: un bosco diviso in due da un fiume e con tante radure, ciascuna associata a un simbolo, unite tra loro da sentieri. Per vincere ogni giocatore dovrà riuscire ad arrivare per primo a totalizzare 30 punti. I punti si potranno fare (generalmente) in tre modi: piazzando edifici e altri segnalini sulle proprie radure (il controllo di ogni radura si ottiene con la maggioranza dei propri pezzi), distruggendo in combattimento gli edifici e i segnalini delle altre fazioni e costruendo oggetti con le carte (sfruttando sempre i simboli delle radure controllate). Il combattimento si risolve per mezzo di due d12, con facce numerate da 0 a 3, a indicare le ferite inflitte; si tirano entrambi, l’attaccante  prende sempre il risultato maggiore e si distribuiscono quindi le ferite rimuovendo (prima) i modelli e (dopo) gli edifici/segnalini di ciascuna fazione. Esiste poi una condizione di vittoria alternativa, che implica, per chi vi si vuole cimentare, l’abbandono permanente del tracciato dei punti a favore del raggiungimento del controllo di una particolare combinazione di radure, indicata da una carta. Su questa base comune, si innestano quindi le meccaniche delle singole fazioni (4 del base + 2 dell’espansione). Non mi soffermerò a elencare le regole che governano le fazioni, in quanto qualunque riassunto sarebbe comunque molto riduttivo e parziale. Vi basti sapere che sono davvero molto diverse tra loro e spaziano da meccaniche più cervellotiche e difficili da gestire (gli Uccelli e le Lucertole), a stili di gioco più semplici e lineari (i Gatti e il Sottobosco), alta dipendenza dall’interazione con gli altri (le Lontre) o con funzionamento più singolare (il Vagabondo).

IMPRESSIONI

Partiamo da un confronto col suo illustre predecessore: Vast. Non posso certo dire di conoscere bene quest’ultimo titolo, in quanto ho giocato una sola partita (e mi sono fermato a quella, perché non l’ho reputato un genere a me affine). Quello però che posso dire – e che salta facilmente agli occhi – è la differenza sul fatto che, se in Vast ogni fazione era un gioco a sé stante, qui in Root le fazioni rappresentano stili di gioco differenti, con diversità anche molto marcate, ma che concorrono tutti verso il medesimo comune obiettivo per vincere. Sembra una differenza da poco, ma in realtà, nell’idea della Leder Games di fare giochi altamente asimmetrici, avere tutti le stesse condizioni di vittoria permette di gestire meglio le interazioni con gli altri, capendo (più o meno) al volo chi è in vantaggio e potendo così prendere le contromisure necessarie per contrastarlo. Questo aspetto secondo me è un netto passo in avanti rispetto a Vast, perché permette di giocare partite abbastanza consapevoli, anche senza conoscere profondamente il funzionamento di tutte le fazioni in gioco o comunque senza averle giocate a fondo per raggiungere la loro padronanza. Nell’era dei giochi usa e getta, è un miglioramento non da poco per mantenere un carattere asimmetrico pur senza appesantire eccessivamente lo studio di un regolamento e un sistema di gioco già complessi di per sé. Ciò che mi ha favorevolmente colpito di questo titolo è il senso di freschezza che si avverte giocandolo: si ha proprio l’impressione di avere tra le mani un titolo a suo modo assolutamente originale (scusate, ma non ho mai giocato un COIN, quindi non so dire se abbia ripreso da questa serie alcuni aspetti). Le 4 fazioni del gioco base sono veramente ben congegnate, sia tematicamente (i rimandi alla storia e al tema ci sono e sono tangibili) che a livello di meccaniche.

Da amante dei giochi euro ho trovato negli Uccelli forse la mia fazione preferita, sempre in bilico tra incastrare le proprie mosse e le esigenze della mappa. Quel che invece mi ha lasciato un po’ perplesso e che mi fa arrabbiare dei giochi asimmetrici, soprattutto quando avverto che c’è sostanza e buona qualità come in Root, è la mancanza di un bilanciamento (quasi) perfetto (vedi Cry Havoc). Capisco che sia difficile trovare la quadra… ma il Vagabondo è risultato essere, statistiche del nostro tavolo e globali alla mano, la fazione nettamente più forte. Più che altro è la fazione che meno invoglia a essere intralciata, in quanto è l’unica a non concedere punti vittoria in cambio di combattimenti vinti. Il risultato è quindi che molto spesso si tende a lasciarlo correre e se qualcuno, memore di esperienze precedenti, prova a intralciarlo, dovrà sprecare un’azione e delle pedine per fare un favore a tutto il tavolo, senza avere specificatamente niente in cambio, risultando quindi svantaggiato rispetto agli altri. Al di là di questo, però, c’è da dire che il sapore di una partita a Root è comunque quello di una sfida combattuta fino all’ultimo e non c’è un senso netto di oppressione da parte di nessuna fazione nei confronti delle altre: infatti quasi sempre le partite si decidono all’ultimo turno. E qui arriviamo forse al secondo difetto: l’ordine di turno. In un gioco teso che fino all’ultimo può lasciare con il risultato in sospeso, non c’è alcun meccanismo di compensazione tra chi parte primo e chi ultimo e la fine della partita con il suo vincitore vengono decretati istantaneamente al raggiungimento dei 30 punti. Una bella fregatura insomma. Terzo e ultimo difetto: pessima scalabilità. Il gioco comincia a funzionare da 3 giocatori in su e il suo meglio lo dà sicuramente in 4. Nel complesso però questi tre difetti fortunatamente non rovinano l’esperienza di gioco e in definitiva si esce da ogni partita generalmente appagati e con quel senso di “ho capito come posso giocare meglio la prossima”. Se unite questo fattore alla durata tutto sommato contenuta di ogni partita, capirete facilmente come Root si lasci consumare come una ciotola di pop corn.

Le ultime righe le voglio spendere per l’espansione La Compagnia del Fiume. Innanzitutto aggiunge sostanzialmente tre cose: due fazioni aggiuntive e un Vagabondo aggiuntivo con la conseguente possibilità di giocare fino a 6. Al di là di quest’ultima aggiunta (mai provato in 5-6 giocatori), posso dirvi che le Lucertole e le Lontre sono due fazioni molto particolari. Se le prime, le Lucertole, nonostante la difficoltà di giocarle al meglio, possono essere intriganti e utili a spezzare un po’ il gioco degli altri, le Lontre sono risultati una mezza delusione. Da una parte abbiamo l’ennesima fazione ben tematizzata e con meccaniche originali, dall’altra risultano la fazione indubbiamente più debole del gioco, in quanto dipendono moltissimo dal comportamento degli altri al tavolo. Sintetizzando, basano il loro gioco sulla vendita di alcuni servizi agli altri giocatori. Va da sé che se gli altri comprano parecchio automaticamente si rafforzano; al contrario, come sempre è accaduto sul nostro tavolo, se gli altri giocatori si rifiutano di acquistare dal mercato delle Lontre, questi ultimi rimangono sostanzialmente al palo. In un gioco competitivo e con interazione diretta come questo, capirete bene come una fazione con un tale funzionamento parta già con un piede nella fossa e facilmente possa finire per fare da comparsa/sparring partner/piacevole addobbo natalizio alla partita degli altri.

CONCLUSIONI

Root è davvero un buon gioco, un wargame in senso stretto capace di regalare, in un tempo contenuto, delle sfide sempre tese, all’interno di un contesto ben tematizzato e veramente originale. Non è esente da difetti, ma nel complesso mi sentirei di promuoverlo, perché gli aspetti positivi superano di gran lunga quelli negativi (nonostante anche il fastidioso “bilanciamento non bilanciato”). Direi che, a mio modesto parere, tra i giochi selezionati dalla giuria che ho avuto modo di provare, si è meritato a pieno titolo il Goblin Magnifico 2019, anche perché, diciamolo, la concorrenza non era poi così agguerrita (il 2018 è stata un’annata un po’ fiacca). Sull’espansione sinceramente non mi sentirei di consigliarla a occhi chiusi, in quanto, delle due fazioni, soltanto una è effettivamente giocabile e godibile (anche se rientra tra quelle “complesse”). In attesa delle Talpe e dei Corvi, protagonisti della prossima espansione in uscita in inglese quest’anno, consiglio caldamente di sperimentare questo titolo a tutti coloro che adorano l’asimmetria abbinata alla sana e competitiva interazione diretta e distruttiva. Difficilmente rimarrete delusi.
Lo trovate come sempre su Egyp.

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