Scritto da
Hyder
Quando in redazione hanno chiesto chi di noi se la sarebbe sentita di di recensire Penny Dreadfuls – Gli Orrori di Londra, il terzo gioco della (ormai) trilogia vittoriana del duo Mari-Santopietro (il team di sviluppo anche conosciuto con il nome di Sir Chester Cobblepot), mi sono precipitato all’istante. Sono da sempre un grande fan dei loro giochi e Lettere da Whitechapel è un titolo nella mia collezione che ho consumato negli anni e che ha cementificato il mio amore per il genere movimento nascosto.
A quel punto, è vero, ancora non sapevo cosa aspettarmi dal gioco, e, dopo Whitechapel e Whitehall Mystery, immaginarsi un terzo gioco di tipo movimento nascosto era, per quanto giustificabile, comunque un pronostico campato in aria. E quando finalmente il gioco è arrivato sul mio tavolo, sono stato sorpreso più di quanto potessi prevedere.
UNA PIEGA NARRATIVA
A differenza dei predecessori, che sono giochi ispirati a macabri e misteriosi fatti di cronaca vera, Penny Dreadfuls si ispira a opere di finzione: letteratura di genere dalle trame bizzarre e fantasiose. Come lo stesso gioco ci insegna in un paragrafo introduttivo, “i Penny Dreadfuls erano pubblicazioni periodiche illustrate, diffusesi nel Regno Unito dalla seconda metà dell’Ottocento. Libretti economici dal prezzo, appunto, di un singolo penny, proponevano racconti con temi vividi e popolari, contraddistinti da toni enfatici e sensazionalistici.”
Penny Dreadfuls – Gli Orrori di Londra, si prefigge lo scopo di far rivivere si suoi giocatori storie ispirate a questi prezzolati racconti dell’orrore, focalizzandosi più sull’esplorazione di una trama che sulla risoluzione di un puzzle. Si colloca quindi in quel filone di giochi da tavolo che, più che fornirti una sfida, vogliono farti vivere una storia e, forse, anche, addirittira, persino un’esperienza solitamente contenuta in un mazzo di carte, con la scatola base che, oltre a qualche mazzo di partenza, fornisce un framework (plancia, token, cubetti, meccaniche di base) in cui giocare. Insomma, un gioco pronto a espandersi con altre storie negli anni a venire. Nulla a che vedere, quindi, con il 1-contro-tanti deduttivo a cui siamo stati abituati dai due episodi precedenti della trilogia.
A questo punto, a onor del vero, dovrei specificare che il gioco, in effetti, una componente competitiva la prevede, ed è anche molto esplicitata dal manuale, ma meno dalle dinamiche di gioco. Vedrete infatti durante il corso di questa recensione che, secondo me, è molto blanda e poco accostabile alla competitività che emerge dalle sessioni sudate di Lettere da Whitechapel o Whitehall Mystery.
NOTA: Nel corso di questa recensione sarò costretto a contenermi sia con le immagini che con gli esempi perché è un gioco fatto essenzialmente di informazioni che si svelano e rischierei di rovinarvi l’esperienza se riportassi troppi esempi.
UN’ESTETICA IMMERSIVA
Come potete vedere dalle immagini, l’estetica di Penny Dreadfuls – Gli Orrori di Londra, riprende perfettamente quella del resto della trilogia. Si presenta quindi con uno stile “elegante ma sporco”, che fa un ottimo lavoro a calarci nei vicoli gonfi di atmosfera della Londra vittoriana del 1800. Le illustrazioni sul dorso di ogni carta sono tante e perfettamente in linea con le incisioni e le illustrazioni dell’epoca. Anche il linguaggio usato nei testi delle carte tenta di rievocare quello tipico degli scritti inglesi, anche se non sempre ci riesce (complice una scrittura e un italiano non sempre in formissima, specialmente in alcuni mazzi/storie).
La Giochi Uniti, va detto, si è anche superata con la scatola e i suoi inlay, divisi in vari vassoi contrassegnati che permettono un setup rapido e facile (cosa utilissima se si considera che una partita a Penny Dreadfuls mediamente dura dai 45 ai 60 minuti). Un design veramente intelligente e accorto che, putroppo, nonostante questo, non resiste all’annoso problema delle componenti che cadono e si mischiano quando la scatola è tenuta in verticale; cosa di per se non gravissima se non fosse per un product design che si è dimenticato di contrassegnare ogni carta con un’icona che ci faccia capire a quale dei quattro mazzi contenuti nella scatola appartiene (insomma: se vi si mischiano le carte di mazzi diversi, non sarà facile ricostruirli a meno che non conosciate già i contenuti di ogni storia. Tenete la scatola in orizzontale, se potete, oppure avvolgete i singoli mazzi con un elastico o una bustina).
OK, MA COME SI GIOCA?
Meccanicamente, Penny Dreadfuls è semplicissimo, rapido da apprendere e iniziare a giocare:
la prima decisione da prendere, in gruppo, è quale delle tre storie contenute nella scatola base giocare. Il gioco le chiama Sensazionali Storie Del Terrore e insieme vanno a formare il ciclo Rosso Sangue (sono già stati promessi altri cicli in futuro). C’è anche una quarta storia, di dimensioni ridotte, che funge da tutorial (e da aggancio tematico ai precedenti giochi della trilogia) ma che non credo sia bastevole ad apprendere il gioco nella sua interezza (ignora totalmente alcune componenti e meccaniche del gioco), ma che consiglio comunque vivamente di giocare prima di ogni altra.
LE COMPONENTI
Per prima cosa, apriamo la plancia al centro del tavolo. La plancia, come accennavo prima, fa parte del framework base, quindi non contiene alcuna informazione di natura narrativa (solo una griglia di lettere e numeri): quelle verranno inserite man mano mediante il piazzamento di un set di token Luoghi (esterni e interni) che andranno a dare forma ai quartieri che ospiteranno la nostra sensazionale storia del terrore.
La prima carta di ogni mazzo/storia istruisce i giocatori su quanti cubetti neri hanno a testa. I cubetti neri sono la risorsa fondamentale che i giocatori investiranno per virare la storia nella direzione che preferiscono e, a storia conclusa, serviranno anche a misurare la performance di ogni singolo giocatore. Tutti i giocatori partono con lo stesso numero di cubetti.
Altre componenti di gioco, oltre alle ovvie carte, sono:
- tre pedine colorate per rappresentare il protagonista (giallo), il comprimario (arancione) e l’antagonista (nero) sulla mappa.
- Una serie di token codificati per forma, colore e lettera greca che rappresenteranno, in ogni storia, vari oggetti che si troveranno distribuiti tra i vari personaggi e luoghi coinvolti.
SI VA IN SCENA
Il gioco si gioca semplicemente leggendo le carte del mazzo scelto partendo dalla prima. Ogni carta è identificata da un numero sul dorso. Le prime carte solitamente istruiscono sul setup (quali personaggi entrano in scena sin da subito e quali luoghi saranno già presenti sulla mappa), dopo di che non si procederà più in maniera lineare, ma andando a pescare la carta che la storia ci dirà di prendere, dipendentemente dalle scelte che abbiamo fatto.
Una carta, oltre a dettagli visivi e descrittivi, può contenere
- Scelte
- Prove
- Controlli
SCELTE
Le Scelte sono semplici bivi narrativi divisi idealmente tra “destra” e “sinistra”. Mi invento un esempio per evitarvi spoiler: “DESTRA: inseguiamo l’aggressore che sta fuggendo” vs “SINISTRA: restiamo qui e prestiamo soccorso al malcapitato”.
Ogni giocatore esprime una preferenza votandola. Il voto avviene nascondendo uno dei propri cubetti neri in una mano (destra o sinistra, a seconda di ciò che si vuole votare) e il contenuto dei pugni chiusi viene svelato simultaneamente. La scelta che ha ricevuto la maggioranza dei voti sarà il percorso intrapreso dalla trama e tutti i giocatori che l’hanno votata perdono il cubetto che hanno utilizzato per farlo, mentre tutti i restanti giocatori conservano il proprio cubetto. Questo fa sì che chi continua ad essere soddisfatto dai bivi avrà sempre meno cubetti a sua disposizione.
PROVE
Le Prove avvengono quando i protagonisti della storia si trovano di fronte ad un ostacolo da superare. Similmente a come avviene in molti Giochi di Ruolo, nelle Prove bisogna raggiungere una soglia di difficoltà per poterle considerare superate. Questa soglia si raggiunge mediante un investimento collettivo di cubetti: ogni giocatore decide segretamente quanti cubetti si sente di investire nella prova e li nasconde in un pugno chiuso. Poi le mani vengono rivelate in simultanea e, se la somma di tutti i cubetti investiti da tutti i giocatori raggiunge o supera la soglia di difficoltà, la prova è considerata superata. In ogni caso, superata o fallita, i giocatori perdono i cubetti che hanno investito.
Il giocatore che ne ha investiti di più riceve in riconoscimento un dischetto bianco che gli potrà dare un vantaggio quando, a fine partita, si determinerà il vincitore.
CONTROLLI
I Controlli sono momenti in cui la storia vi chiede di verificare se siete in possesso o meno di un determinato oggetto per stabilire quale carta farvi leggere per prossima. Un esempio banale (e, di nuovo, totalmente inventato) potrebbe essere “La porta è chiusa, se avete l’oggetto [CHIAVE] pescate la carta 14, altrimenti pescate la carta 22”.
IL TABELLONE, COSÌ VICINO EPPUR COSÌ INTOCCABILE
Le carte istruiscono anche come spostare gli elementi sul tabellone al fine di riflettere l’andamento della storia.
Non c’è modo di interagire proattivamente con il tabellone e i suoi elementi. Lo stato del tabellone è esclusivamente un riflesso dell’andamento delle carte e della storia e in nessun momento i giocatori possono decidere di muovere la pedina del protagonista in un luogo o in un altro. È come se il tabellone fosse uno schermo che si limita a restituirci le immagini della storia di cui siamo spettatori. Non è un problema di per se, ma più volte durante le sessioni ci siamo trovati a chiederci se tutto questo era proprio necessario e se non fosse stato più semplice (nonché economico) tenere tutte le informazioni nel mazzo di carte (e quindi inserire delle speciali carte luogo da calare sul tavolo quando istruiti, a formare una piccola mappa di carte).
Alcune carte, come quelle che descrivono i personaggi coinvolti, saranno permanenti e verranno collocate in prossimità di apposite guide stampate lungo i bordi del tabellone. Se un personaggio o un luogo contengono un oggetto, la cosa verrà indicata mediante un token ospitato su quella carta (se un personaggio) o su quel gettone (se un luogo).
Il gioco, da regolamento, prevede che un oggetto è liberamente spostabile tra protagonisti, comprimari e comparse se queste condividono o sono adiacenti allo stesso luogo. Non ci sono istruzioni su cosa fare se invece si vuole recuperare un oggetto che si trova per terra in un luogo (e quindi non su una persona), eppure è una situazione nella quale il gioco ci ha messo diverse volte. C’è stata addirittura una volta in cui un personaggio ha lasciato cadere per terra un oggetto che stavamo cercando da tempo e, quando abbiamo deciso di restare in loco (con il chiaro intento di recuperare l’oggetto) anziché spostarci altrove, il gioco, nella carta successiva, ci ha istruiti di spostare il protagonsita da tutt’altra parte della mappa, lasciandoci senza l’oggetto che volevamo recuperare.
IL PROBLEMA DELL’ARBITRARIETÀ
E questo è ciò che mi impedisce di vivere Penny Dreadfuls – Gli Orrori di Londra come realmente competitivo.
Mi spiego meglio: prima o poi ogni storia arriverà ad un epilogo, che può essere positivo, non-positivo o negativo. Essendo che stiamo parlando di Penny Dreadfuls, alcune volte un epilogo positivo non coincide con il trionfo dei protagonisti (anzi), ma semplicemente con una conclusione “soddisfacente” di una trama horror.
Ha senso. Non è una cosa che mi crea problemi. Rende però estremamente più difficile capire in che direzione sta andando la trama e, quindi, giocare in modo ragionato e competitivo.
Come si stabilisce il vincitore?
Semplicemente, se la storia è giunta ad un finale positivo, avrà vinto il giocatore con meno cubetti a disposizione (perché, evidentemente, li avrà persi tutti investendoli in Scelte e Prove giuste).
Contrariamente, in un finale non-positivo, vince il giocatore con il maggior numero di cubetti ancora a disposizione (perché, evidentemente, non ha partecipato troppo attivamente allo scempio che ha portato la storia a questa mesta conclusione).
In caso di finale Negativo, semplicemente avranno perso tutti.
Il gioco, nella sua essenza, sta quindi nello scommettere sulle scelte giuste. Investire cubetti quando si pensa che la storia stia andando nella direzione prevista per un finale positivo o risparmiarne quando si pensa che la storia stia prendendo una brutta piega.
TRIAL AND ERROR
Purtroppo, però, sono scelte che rare volte (se non addirittura mai) si possono fare in maniera informata e spesso ci siamo trovati vittime dell’arbitrarietà degli autori della storia che stiamo giocando (solo una delle storie presenti nella scatola base è scritta da Mari-Santopietro, tutte le altre sono state affidate ad autori e autrici “ospiti”).
Anche se è vero che il gioco ci invita a prestare massima attenzione a disegni e testi, perché gli indizi sono sparsi e nascosti ovunque, in tutte le sessioni che abbiamo giocato l’unica vera sorgente di informazione sono stati i presunti errori della partita precedente (“prima abbiamo votato sinistra ed è andata malissimo, quindi ora proviamo a votare destra e vediamo come va”), diluendo di molto l’aspetto investigativo del gioco (che pare volerci essere). Il trial and error (fallisci e ritenta) è l’approccio che più di ogni altro ha fatto la differenza e, anche se giustifica molto bene il rigiocare una storia finita male, risulta spesso tedioso e frustrante, più che altro perché ci priva della possibilità di compiere scelte interessanti e ben ponderate.
Riesce quindi difficile competere con gli altri giocatori in maniera strategica o ragionata, dal momento che potremmo trovarci spesso in situazioni in cui un bivio di trama imboccato male non era assolutamente prevedibile e noi ormai siamo rimasti senza cubetti perché fino a cinque minuti fa eravamo convinti che stesse andando tutto benissimo. Ci sono persino approcci diversi che portano, in un modo o in un altro, allo stesso risultato.
È un po’ il problema che hanno anche alcune escape room da tavolo: non devi realmente capire l’enigma, devi capire come ragiona l’autore dell’enigma.
STORIE BREVI, MA LUNGHE
Per fortuna, però, una singola storia ha molto da offrire a chi la rigioca più volte (e infatti il gioco è pensato perché ogni storia venga giocata a più riprese, anche perché altrimenti il contenuto dell’intera scatola si esaurirebbe in poco più di due ore). La maggior parte dei bivi, se imboccati diversamente, portano a luoghi, personaggi e situazioni completamente inediti, facendo sì che la storia, seppur già giocata, presenti una trama completamente diversa rispetto agli approcci precedenti.
Una varietà così ampia difficilmente l’ho vista precedentemente in giochi di questo tipo e si sposa benissimo con il fatto che la durata di una singola storia è si meno di un’ora. Ci è capitato spesse volte, alla fine di una storia, di avere ancora tempo e voglia di cimentarci nuovamente nella stessa storia che avevamo appena concluso.
E SE SI È IN POCHI?
Penny Dreadfuls – Gli Orrori di Londra prevede regole speciali se si è in due giocatori o addirittura in solitario: l’utilizzo di appositi token da pescare a ogni Scelta o Prova per svelare le intenzioni di un bot (se vota a destra o a sinistra in una Scelta o quanti cubetti vuole investire in una Prova). Francamente, è una modalità che sconsiglio, per una serie di ragioni: il bot, implementato così, è poco interessante e l’impressione sarà più che altro quella di avere una sorgente di caos che, senza essere in grado ragionare o contestualizzare, vi lancia bastoni tra le ruote nei momenti più disparati.
Inoltre, uno degli aspetti più interessanti del gioco è “l’ingegneria sociale” che si applica quando si vuole manipolare tutti i giocatori a fare una determinata scelta o semplicemente votare il contrario di quello che sembra essere la scelta più popolare allo scopo di non perdere un cubetto (anche se in verità si è d’accordo con la scelta votata da tutti gli altri).
Tre storie non sono molte e eviterei di “sprecarle” con un bot anziché godermele con un gruppo di amici.
E SE SI È IN POCHI?
Avrete già capito che Penny Dreadfuls – Gli Orrori di Londra ha poco da spartire con i suoi due illustri predecessori. Ovviamente questo non è un difetto di per se e il gioco resta consigliato per chi desidera un’esperienza narrativa da vivere in gruppo, che sappia richiamare le atmosfere degli umidi vicoli della Londra Vittoriana alla maniera in cui i designer del team Sir Chester Cobblepot ci hanno abituati.
Tuttavia è un gioco che mi sento di consigliare soltanto a coloro che riescono a godere esclusivamente di un’esperienza narrativa, riuscendo a mettere di buon grado l’aspetto competitivo e quello investigativo in secondo piano.